Nelle città di Roma era una notte qualunque per molte persone, tranne che per don Puccio, un anziano prete che curava la sua parrocchia nella campagna suburbana, arida e desolata.
Egli era conosciuto per essere un esorcista di classe, infatti, sin da quando era piccolo, stava tutto il giorno a pregare e a leggere le Sacre Scritture e i testi dei Padri della Chiesa.
Questa passione per la Chiesa e per la preghiera gli era stata passata da un vecchio prete con cui era cresciuto.
I lunghi anni trascorsi a studiare e a nutrire il suo spirito lo avevano reso esile fisicamente: era molto magro e senza nemmeno un muscolo, a causa di uno studio continuo e senza sosta che aveva praticato sin dall’età adolescenziale; ma, nonostante il fisico esile, era ancora abbastanza forte da riuscire a sopportare qualsiasi fatica, e, nonostante la tarda età, conservava ancora il biondo dei capelli e l’azzurro chiaro degli occhi.
Proprio grazie alla forza della sua mente, era riuscito a diventare l’esorcista più stimato tra quelli presenti a Roma, e ogni settimana riceveva dozzine di lettere in cui si chiedeva il suo intervento per salvare una vita o un’anima.
Quella notte don Puccio stava tornando alla sua canonica dopo aver fatto l’ennesimo esorcismo: nonostante fosse abituato alle peggiori situazioni, quella sera era abbastanza stanco, così stanco che non aveva neanche la forza nelle gambe per camminare né per aspettare l’ultimo pullman, e perciò decise di chiamare un taxi.
Aspettò circa mezz’ora, il taxi arrivò ma sembrava strano: era pieno di apparecchi tecnologici, computer, monitor e tanti dispositivi a lui sconosciuti. Una volta salito a bordo, il prete rimase perplesso e confuso per l’aspetto del conducente: era un uomo di mezza età che con la tastiera di uno dei computer scriveva cose a lui incomprensibili.
Il tassista si presentò subito dicendo: “Buonasera padre, mi chiamo Onofrio Crowley e sono uno dei migliori sistemisti in circolazione! Attualmente sto provando un nuovo prototipo di taxi con guida automatica creata da me! Ho utilizzato Raspberry, Arduino e TensorFlow, ho modificato le strutture di alcuni dei migliori piloti automatici in circolazione e oggi lei sarà il fortunato che potrà testare con me tutto ciò!
Vedrà in azione questa tecnologia, si metta pure comodo sul sedile. Riesce a percepirvi gli impianti di domotica integrati?” Don Puccio era sempre più perplesso e non capiva nulla, però era così stanco che non ci pensò neanche su e si appisolò. Durante il tragitto si svegliò improvvisamente e notò che il conducente stava dormendo. Per la paura urlò “ONOFRIO! ONOFRIO!”.
Quello si svegliò di soprassalto e, spaventato, pigiò un tasto rosso con sopra scritto “Emergenza”. L’automobile, non si sa per quale motivo, accelerò di colpo e investì la persona che in quell’istante stava sfrecciando davanti ai fari della vettura.
Don Puccio, ancora più spaventato di prima, scese dal taxi e scoprì che si trovava all’aeroporto, chiese subito al tassista cosa stesse succedendo e quello rispose semplicemente con un “Eeeh giovane, a quanto pare non funziona tanto bene questo pilota automatico…” Don Puccio soccorse subito la persona investita: era un uomo trascurato, barba lunga, capelli lunghi, vestiti sporchi e faccia stralunata.
Preso dal panico, il sacerdote cercò in tutti i modi di aiutarlo. Tornò in macchina a passo veloce per prendere dell’acqua, dalla sua sacca prese per sbaglio l’acqua santa (nella foga non lo notò); la diede da bere all’uomo, che sembrò riprendersi subito, anche se il suo sguardo era strano, spento, quasi un presagio di morte e desolazione.
Il prete lo fece sedere nel taxi e cercò di farlo parlare; l’uomo però sembrava come se fosse morto, non parlava e fissava terra con i suoi occhi freddi come il ghiaccio. A questo punto Onofrio, notando lo sguardo assente dell’uomo, decise di intervenire: “Giovane, fai ciò che vuoi, sarà tutta la Legge. L’amore è la legge, amore sotto la volontà”.
L’altro alzò lo sguardo e disse a bassa voce singhiozzando: “Mi chiamo Giovanni, grazie per le tue belle parole…”; don Puccio lo guardò e gli disse: “Cosa non va? Racconta tutto a me” e l’uomo, tra i singulti, cominciò a raccontare la sua storia.
“In un giorno d’inverno, precisamente tre mesi fa ho sepolto al cimitero di Roma i miei cari, mia moglie Caterina, mio figlio Salvatore e mia figlia Rita; piangevo sempre più forte, le lacrime scendevano copiose, tanto copiose e salate che finirono per bruciarmi le guance.
Quel giorno mi vennero in mente alcuni dei più bei momenti vissuti con la mia famiglia: la gita al lago, i tiri al pallone con Salvatore sull’erba, la gara di tuffi con Rita, il giro a cavallo con mia moglie. Fin da bambino ho amato e praticato lo sport e ho passato questo amore ai miei figli. Salvo giocava benissimo a calcetto e Ritucccia era fenomenale nel nuoto.
Ma dopo quel maledetto incidente che me li ha portati via tutte e tre, io ho smesso di allenarmi e di correre, ho cominciato a farmi crescere capelli e barba, mangio soltanto cibi in scatola e surgelati e butto la spazzatura di casa soltanto ogni tre giorni. I miei soli si sono spenti e io con loro.
Oggi, forse in preda alla follia, in un ragazzo col berretto, che mi si era per caso avvicinato, ho rivisto il volto di mio figlio. Allora mi sono messo a correre forsennatamente verso la macchina, ho messo in moto e ho imboccato la strada dell’aeroporto per volare via dal mio dolore. Ed eccomi qui adesso”.
Don Puccio rimase colpito dalla storia di quell’infelice: “Giovanni, non so dove tu debba o voglia andare, ma io ti offro il mio aiuto: vieni con me alla parrocchia, ti prometto che la tua vita migliorerà, ritroverai un po’ di felicità e sconfiggerai la depressione”.
Intanto Giovanni aveva cominciato a disidratarsi, forse perché aveva bevuto l’acqua santa che conteneva un’enorme quantità di sale, e allora Onofrio gli offrì dell’acqua aromatizzata che teneva in una borsa sotto il suo sedile: una volta bevutala, Giovanni cominciò a ridere e sorridere come se fosse sotto effetto di droga ed accettò la proposta fattagli dal prete.
Onofrio premette deitasti sul cruscotto, il taxi si mise in moto e tutti partirono per la parrocchia ad alta velocità. Mentre Onofrio sperava di aver, stavolta, impostato in modo corretto il pilota automatico, i due passeggeri cominciarono a parlare tra loro e Don Puccio raccontò la sua avventura di quella sera, come cioè si fosse ritrovato all’aeroporto.
“Mi era stato chiesto di esorcizzare una donna a Roma. Entrato nella casa della donna, presi i soliti strumenti utilizzati dagli esorcisti: l’acqua santa, un crocifisso e la Bibbia.
In realtà avevo anche un altro oggetto, che però fino ad allora non avevo mai utilizzato, ma che poteva diventare necessario se l’esorcismo non fosse riuscito e la vittima non si fosse potuta più liberare dal demone: una beretta m92fs con pallottole d’argento, che, a mali estremi, sarebbe servita per uccidere l’indemoniata.
Mi diressi calmo verso la stanza da cui provenivano urla e parole empie, con in mano il crocifisso e il libro sacro.
Arrivato davanti alla porta, l’aprii e vidi un vaso che, volando ad alta velocità, si dirigeva proprio verso di me. Riuscii ad evitarlo agilmente; allora sorrisi (un sorriso che voleva ridicolizzare il lancio del vaso, sprecato, della donna indemoniata), aprii il libro santo e cercai con lo sguardo la donna. Non ci misi molto a trovarla: era sul soffitto, a testa in giù; iniziai a leggere le pagine della Bibbia.
Le parole sembravano avere effetto, ma nonostante questo, continuavano ad arrivarmi addosso oggetti lanciati dall’indemoniata, che però io riuscii a schivare tutti agilmente. Pensai allora di aver sbloccato un potere, un potere del tutto mentale, un potere che mi consentiva di poter controllare i riflessi, questo potere veniva chiamato “Ultra Istinto”.
Ero convinto di possedere l’Ultra Istinto, talmente convinto che decisi di avvicinarmi alla donna senza più temere di essere colpito. Intanto l’indemoniata mi aveva lanciato addosso l’armadio. Ancora convinto di avere l’Ultra Istinto, provai a schivare il robusto mobile, ma quello mi colpì in pieno e mi fece volare cinque metri all’indietro, sbattendomi alla fine del corridoio. Allora capii che non avevo scelta: impugnai la beretta, sparai ma colpii il muro, un pezzo di calcinaccio mi cadde sulla testa e fu allora che svenni”.
Mentre Don Puccio raccontava la sua storia, Giovanni e Onofrio si addormentarono.
Era ormai tarda notte, il gruppetto stava ancora dormendo e il taxi stava viaggiando verso la parrocchia; una volta arrivati a destinazione, cominciò a suonare una sveglia e i tre di botto e contemporaneamente urlarono: “CHE SUCCEDE!?”
In quel momento Onofrio si ricordò di avere inserito una suoneria che doveva attivarsi una volta arrivati a destinazione, ed urlò:“Tranquilli! È soltanto la mia sveglia!”, i due scesero dal taxi ringraziando Onofrio che, a sua volta, li ringraziò per il tempo passato insieme e diede il suo numero di telefono per le emergenze.
I due, stremati, andarono subito in camera per riposare, finalmente.
L’indomani don Puccio e Giovanni si svegliarono a mezzogiorno con le campane che suonavano; il prete imprecò perché era molto tardi. In quel momento c’era una suora davanti alla porta della camera che, sentita l’imprecazione di don Puccio, gli tirò una scarpa, ma quello la schivò in modo agile, come se nulla fosse!
Di questa sua prodezza il prete si vantò con la suora e le raccontò come, durante l’esorcismo della sera prima, era riuscito a scoprire il suo potere interiore dell’Ultra Istinto. Giovanni stava ancora dormendo beatamente sotto le coperte e don Puccio decise di non svegliarlo, ripensando a tutte le fatiche della notte precedente; fece colazione, si lavò e recitò, in ritardo, le lodi del mattino.
Una volta finiti i suoi impegni mattutini, corse per celebrare la messa del mezzogiorno (anche questa in netto ritardo!).
Non appena il prete uscì dalla camera, Giovanni si svegliò. Si alzò e si preparò in fretta: si rase la barba e finalmente, dopo diversi giorni che non si lavava, fece una doccia.
Una volta pronto, andò di corsa in chiesa perché voleva ringraziare don Puccio e lasciarsi il dolore alle spalle, ma prima comprò dei ceri, uno per ogni caro defunto della sua famiglia. Giunse in chiesa durante l’omelia e accese i ceri ma, subito dopo, cominciò ad avvertire un forte mal di testa, mai avuto prima, che lo turbò nell’animo e lo spinse ad alzarsi dalla panca per tornare in canonica.
Chiusa la porta della camera dove aveva dormito, vide tutto nero intorno e svenne, cadendo per terra come un sasso.
Don Puccio aveva seguito con lo sguardo Giovanni sin da quando si era alzato dalla panca e si era allontanato dalla chiesa, ed era preoccupato. Finita la messa, si precipitò verso la camera del suo ospite e all’improvviso sentì un urlo della suora provenire dal corridoio.
Questa era come paralizzata e Giovanni, pallido come un cero, guardava verso il basso. Don Puccio capì che servivano gli attrezzi per l’esorcismo, compresa la Beretta.
Urlò: “Preparati ad assaporare il vero potere di don Puccio”, ma in quel momento si sentì scrutato da qualcosa o qualcuno.
Prese di corsa la Bibbia che stava sempre sul comodino accanto al suo letto e cominciò a recitare versi con il crocifisso in mano; non voleva che Giovanni finisse come quella donna, voleva fare di tutto per salvarlo. Pensò che forse il dolore per la perdita della famiglia, l’autolesionismo, l’allontanamento dalla chiesa avevano reso quel povero uomo preda dei demoni.
Stava per iniziare uno scontro tra don Puccio e il demone che si era impossessato di Giovanni. Il demone fece ruotare a Giovanni la testa di trecentosessanta gradi e nello stesso tempo lo fece urlare.
Questo baccano attirò il prete che era nell’altra stanza, don Lorenzo, l’aiutante del parroco, che si affacciò nel corridoio e vide don Puccio con il kit per l’esorcismo, Giovanni urlante e la suora distesa per terra. Il giovane sacerdote, non capendo bene cosa stesse accadendo, disse urlando “Ma Dio benedetto, che succede?”
Queste innocenti parole attirarono il demone, che, con uno scatto veloce, si scaraventò verso Lorenzo per attaccarlo. Questi cacciò un enorme urlo di spavento: “No! Non prendere me! Prendi don Puccio!”
Il demone colpì Lorenzo in pieno viso con un possente pugno: il giovane prete, volò per aria, e, atterrato sul pavimento, era stordito, vedeva tutto sfocato, perdeva sangue dalla bocca per il colpo e intravedeva un paio dei suoi denti per terra. Preso dallo spavento e dall’adrenalina, provò ad affrontare il demone e gli urlò: “Tu! Demone inferiore, come ti sei permesso di colpirmi! Adesso assaggerai la mia collera!”, ma il demone sembrò adirarsi ancora di più e in men che non si dica lo stese con un altro pugno.
L’ambiente si mostrava cupo, nonostante fosse mattina, l’aria era pesante, il cielo era tetro e tenebroso e la tensione tra il prete e il demone saliva.
Gli sguardi che i due si scambiavano erano come fucilate; erano distanti l’uno dall’altro, ed entrambi pronti ad iniziare uno scontro senza limiti pur di aver la meglio sull’altro.
Gli sguardi che si scambiarono durarono diversi secondi, fino a quando, all’improvviso, non si sentì un botto provenire dallevicinanze. Fu allora che i due smisero di guardarsi e concentrarono la loro attenzione sulla fonte del rumore.
Dopo pochi secondi apparve un uomo davanti alla porta del corridoio: indossava un casco da corsa modificato e con la visiera oscurata. Giovanni, non si sa perché, perse i sensi.
L’uomo emise dei versi strani e don Puccio chiese: “Chi sei? Cosa stai dicendo? Levati il casco!”.
L’uomo si sfilò il casco e uno stupore si impadronì della faccia del prete che disse: “Onofrio?!”. Onofrio, molto provato, rispose: “Stavo testando un nuovo prototipo di aereo programmato attraverso l’intelligenza artificiale con a bordo un regalo per te, parroco… e ho finito per sfondare il tetto della canonica. Non è un problema, giusto?”
“Adesso sarei impegnato nel combattimento con Giovanni… è indemoniato, e quindi è arrivato il mio momento di intervenire, dei regali ne parliamo dopo” rispose il prete, stranamente calmo.
“Oh padre, allora il regalo potrebbe servirti. Ho progettato questo robot che riesce a dire le preghiere ad altissima velocità e quindi ad effettuare degli esorcismi in men che non si dica. Se te lo stai chiedendo, sì mi sono ispirato alla tua storia” disse Onofrio.
Il prete non era del tutto convinto (per buone ragioni, visto che raramente qualcosa che faceva Onofrio funzionava), ma nonostante ciò decise di accettare l’aiuto del tassista e del suo robot. “Va bene Onofrio, accetto il tuo aiuto, però dobbiamo fare in fretta, non rimane molto a Giovanni prima di essere completamente preda del demone”.
Onofrio attivò il robot, ordinandogli di iniziare un esorcismo contro il demone che possedeva Giovanni che, intanto, si era rimesso in piedi e aveva ripreso ad urlare. Il robot iniziò a fare movimenti strani e, dopo qualche secondo, prese a recitarele preghiere di rito; il demone iniziò a sentirsi sconfitto, ma non mollò subito.
Tutto ciò andò avanti per parecchio tempo, tanto che Onofrio e don Puccio decisero giustamente di andare a prendere un caffè nella cucina della parrocchia, lasciando l’esorcismo al robot. Sorbito il caffè, ritornarono per vedere a che punto era la situazione: il demone era scomparso ma il robot stava ancora colpendo con i suoi pugni di metallo Giovanni, ormai stordito sul pavimento. Onofrio pensò bene che era venuto il momento di disattivare il robot.
Lo fece e si allontanò insieme a don Puccio, portando con sé il robot. Dopo un po’ Giovanni riprese i sensi, però faticava ad alzarsi in piedi. La prima cosa che fece fu chiedersi cosa ci facesse steso sul pavimento di un corridoio: non ricordava nulla di quanto accaduto nelle ore precedenti.
Accanto a sé trovò una suora svenuta, e poco distante, anche un uomo, che sembrava essere un prete, anch’egli steso per terra con un livido enorme sulla faccia.
Nonostante non stesse capendo più niente, Giovanni decise di andare a cercare qualcuno che potesse aiutarlo a fare luce.
Uscito dal corridoio, la prima cosa che notò fu un buco enorme sul soffitto della canonica, ma ciòche lo impressionò di più fu trovare un piccolo aereo dentro la parrocchia con un piccolo robot accanto. Giovanni si avvicinò all’aereo con mille domande che gli stavano balenando in testa.
Lo ispezionò dall’esterno per vedere di che tipo di aereo si trattasse, ma fu interrotto da una voce in lontananza che gli urlò: “Giovane! hai finito di giocare con l’aereo? Pensi che sia un giocattolo?” “Onofrio?! Cosa ci fai tu qui? esclamò stupito.
“Ero venuto a consegnare un regalo a don Puccio, solamente che per sbaglio ho distrutto il tetto della parrocchia con l’aereo…cose che capitano” “Io non sto capendo più niente!” concluse Giovanni. Onofrio comprese che doveva dargli. Nel frattempo comparve don Puccio che si unì al racconto.
Dopo che tutto fu chiarito (o quasi), Giovanni ci mise un po’ ad elaborare la faccenda: “Nonostante tutto, penso di sentirmi meglio, soprattutto grazie a voi che mi avete salvato dal demone che era dentro di me” ammise alla fine.
“È sempre un piacere riuscire a salvare la vita ad una persona” rispose il prete. Da qui in poi i tre iniziarono a parlare di tutto e di più, entrarono in confidenza e rimasero insieme a chiacchierare per tutto il giorno.
Il mattino seguente, i tre amici si pronunciarono su quale sarebbe stato il proprio destino: “Io penso di proseguire il mio viaggio verso Londra, voi mi avete salvato la vita e ve ne sarò per sempre grato, non vi dimenticherò mai” disse Giovanni.
“È sempre bello aiutare dei giovani a risolvere i problemi che li affliggono! Io invece ritornerò a Roma a fare il tassista e continuerò a dedicarmi ai miei studi di ingegneria e di informatica avveniristica ” fece Onofrio, mentre tentava di aggiustare l’aereo rotto.
“È stata davvero una gioia incontrarvi ragazzi! Per parte mia, continuerò a fare ciò che ho sempre fatto” disse infine don Puccio con un sospiro. Giovanni li salutò per l’ultima volta e si incamminò verso la fermata del pullman che lo avrebbe condotto all’aeroporto.
Onofrio, riuscito a sistemare alla bell’e meglio l’aereo, disse “Alla prossima giovani!”, e subito dopo spiccò il volo e una volta in aria diventò presto invisibile. Potenza della tecnologia!
Anche don Puccio li salutò, e subito dopo si voltò per rientrare in parrocchia, esclamando come ultima frase: “E mo’ il tetto chi lo sistema?”.
Ogni riferimento a fatti e/o persone è puramente casuale; il racconto è frutto della fantasia degli autori.
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